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Recensioni


Si può rileggere la storia dell'arte attraverso la pratica del camminare come fa Francesco Careri, docente di architettura all'Università di Roma, e si può in modalità ludica fotografare la luce o concentrare l'attenzione su significativi frammenti di realtà colti nelle relative complesse geometrie interne che ne riecheggiano il mistero. Appartengono a questa seconda modalità i “gioielli” di Stefano Fronza, artista trentino (1978) capace di inventariare in forme contratte eppur intense in piccole spille – fotografie ricordi ed emozioni, contro-immagini della città, queste isole di potenza evocatrice... Continua a leggere...

Ogni opera è unica e nessuna è mai uguale ad un'altra. Sono tuttavia legate da fili sottili che traggono ispirazione da una stessa fonte e diventano, come i capitoli di un libro, una narrazione che si fa oggetto. Introspettivo e legato ai suoi vissuti più intimi, Stefano Fronza compone i suoi lavori come stanze di un'esposizione che raccoglie, e narra, i momenti di una visione in costante evoluzione. Continua a leggere...




“Si può rileggere la storia dell'arte attraverso la pratica del camminare come fa Francesco Careri, docente di architettura all'Università di Roma, e si può in modalità ludica fotografare la luce o concentrare l'attenzione su significativi frammenti di realtà colti nelle relative complesse geometrie interne che ne riecheggiano il mistero. Appartengono a questa seconda modalità i “gioielli” di Stefano Fronza, artista trentino (1978) capace di inventariare in forme contratte eppur intense in piccole spille – fotografie ricordi ed emozioni, contro-immagini della città, queste isole di potenza evocatrice... un breve credo di estetica tra echi post-impressionistici e avanguardisti (Bauhaus - Moholy - Nagy).

In sintesi non ciò che vediamo, ma ciò che vediamo per la prima volta. Già T. Eliot scriveva che “il genere umano non può sopportare troppa realtà”. L'immagine matrice è una foto prodotta da un corpo in movimento (che talvolta assume i passi della danza), con tempi lunghi di esposizione, tesa a costruire una nuova sospesa realtà che sembra ogni cosa e ogni luogo, una vera e propria violazione della persistenza, una “s-definizione dell'arte” (H. Rosenberg).

È nel silenzio della strada che si avverte “come in nessun altro luogo il vento dell'eventualità” (André Breton); nel silenzio dello studio invece quella stessa attitudine all'ascolto diventa forma. La scelta dei fotogrammi più significativi e delle materie più atte ad accoglierli rivela non solo i tratti fondanti della poetica di Fronza, ma anche la traccia “genetica”, nella sua formazione, degli insegnamenti di un importante maestro, il prof. Peter Skubic alla Fachhochschule di Düsseldorf presso la sezione Design del gioiello, e delle sue carte fotografiche in primis, oltre a certe frequentazioni - sensibilità di scuola padovana legata a problemi percettivi e geometrie complesse.

Non a caso la scelta dei materiali interseca queste due linee stilistiche, i motivi della natura e quelli geometrico-architettonici. Siamo in strada ma catturati dalla luce, esterno – interno quasi corrispondono, non c'è cornice intesa come un telaio - finestra attraverso la quale guardare nello spazio raffigurato. In realtà sono immagini sospese di ogni cosa e ogni luogo, di alberi, lanterne veneziane o viennesi, soffusi ricordi di architetture di una Lucia Moholy e delle vetrate del Bauhaus di Dessau ri-viste nelle deformazioni da camera degli specchi o catturate nelle spire di teorie percettive cinetiche.

L'artista segue la sua passione nella stampa di altissima qualità e nella scelta dei materiali poi rifiniti in studio (alluminio, resine, titanio, acciaio... oro bianco in rari casi). In generale al gioiello ancora identificato con un oggetto realizzato con metalli e gemme preziose andrà aggiunto nella contemporaneità il pregio del materiale che va di pari passo con quello del progetto e la vera novità dei gioielli di Fronza sta nel fatto che l'oggetto può anche liberarsi della sua funzione (una spilla) e ritornare ad essere una fotografia, un quadro."

testo a cura del Prof. Nicola Loizzo - 2024

"Ogni opera è unica e nessuna è mai uguale ad un'altra. Sono tuttavia legate da fili sottili che traggono ispirazione da una stessa fonte e diventano, come i capitoli di un libro, una narrazione che si fa oggetto. Introspettivo e legato ai suoi vissuti più intimi, Stefano Fronza compone i suoi lavori come stanze di un'esposizione che raccoglie, e narra, i momenti di una visione in costante evoluzione. All'origine di ogni lavoro ci sono le sue fotografie: impressioni di luce e di colore. Visionarie fonti per la ricerca delle linee, del movimento e del colore, astrazioni o meglio estrazioni che diventano opere."

testo a cura di Micaela Vettori - 2020